L’anima in fiamme, al confine tra splendere e bruciare

Quale bambino al primo compleanno non ha allungato la propria manina, tendendo l’indice paffuto verso l’unica candelina della torta? La luce, il calore attirano da sempre la nostra attenzione e i nostri istinti più profondi. Come il neonato anela al seno della mamma, continuiamo a cercare nutrimento e conforto negli affetti e nelle cose. Chi potrebbe mai negare di non aspettarsi una qualche forma di riconoscimento o accoglienza per un traguardo raggiunto o un sogno realizzato? Come ignorare la necessità di ricevere amore nelle relazioni?
Il genitore è tardo ad intervenire: il bimbo mette l’indice sulla fiamma, si scotta e piange. Vanno un po’ così i primi tentativi di ricerca della felicità. Il bambino è il nostro istinto, il genitore la ragione.
D’accordo, ma nella vita è importante dare!
Non meno di ricevere. L’adolescente è spesso arrabbiato o intristito, esplosivo e ribelle o chiuso e solitario. Perché? Qualcosa è andato storto nel soddisfacimento dei bisogni primari, in quell’atavica ricerca di luce e calore.
Chi è l’adulto, allora?
Colui che al bimbo-istinto, genitore-ragione e adolescente-emozioni ha aggiunto una quarta parte: anima-consapevolezza.
So di aver bisogno d’amore, ho imparato a discernere ciò che è bene o male per me, riconosco di essere attraversato da emozioni che mi scuotono come onde, ma ora ho un segreto: il mio interno. Dentro, ho la fiamma che a un anno vedevo sulla torta.
Quanti genitori-bambini e adolescenti-bambini per il mondo!
Eh, sì. Io per prima. Fuori attira e distrae continuamente. Ma l’anima brucia e scalpita, facendoci scontrare contro la nostra cecità, finché la luce non attraversa anche le palpebre sbarrate.
Un intenso innamoramento, una vibrante passione e poi l’abbandono, il distacco, la resa. Il genitore-ragione ci intima di non aprirci più in quel modo, di non credere più nelle relazioni, di restare freddi, distaccati; l’adolescente-emozione è in subbuglio, come se le sue ferite dell’infanzia fossero state riaperte.

  “La ferita è il punto in cui la luce entra in te”
                               (Rumi)

E’ quando l’adolescente e il genitore si riconoscono l’un l’altro che può fare capolino l’anima.
Andare oltre l’evento, attraversare il dolore e riconoscere la fiamma è un passaggio fondamentale.
L’anima adora la nostra parte bambina, l’istinto. E’ stata lei, prendendo per mano la nostra curiosità, a spingerci a bruciare, tra le braccia di quell’amore che alla fine, di nuovo, ci ha fatto sentire distrutti, feriti, abbandonati, inermi.
Perché?
Possiamo riprodurre lo stesso schema per una vita intera senza accorgercene, e le nostre ferite si ingrandiscono sempre più, fanno male.
Possiamo chiuderci e smettere persino di provarci, a dare e chiedere nella stessa misura, ad aprire il cuore a quello scambio diretto verso l’altro, gli altri, il mondo.
Perché?
Perché bruciare spesso vuol dire gettare tutti se stessi contro un muro, e quello non è amore, là non stai donando davvero, e il genitore in te in fondo lo sa che non c’è una porta e non passa niente, se non qualche spiffero.
L’anima non è sciocca, in certe occasioni apprezza molto anche la ragione.
Perché?
Perché bruciare va bene, ma occorre una direzione che diventi strada, canale, per far passare la luce.
E’ bello avere l’anima in fiamme, ma non è piacevole estinguersi per niente.
Splendere è percorrere una strada, quella che più si addice alla propria luce. Splendere è non sprecare neanche un granello di anima (e di fiducia in sé stessi e nella vita). Splendere è portare i frutti, e riconoscere i terreni fertili. Splendere è saper dire no a tutto ciò che non è strada. Splendere è donare i propri passi alla terra e ricevere la spinta, tutto il nutrimento, proprio da essa. Splendere è camminare, bruciando, con la propria anima in fiamme per un sogno.
Splendere è proseguire col genitore a destra, l’adolescente a sinistra, il bambino nel cuore, i piedi sopra al suolo, la testa sotto al cielo e una direzione davanti agli occhi.

Per me c’è solo il viaggio su strade che hanno un cuore.
Qualsiasi strada abbia un cuore, là io viaggio
e l’unica sfida che valga è attraversarla in tutta la sua lunghezza.
Là io viaggio guardando, guardando, senza fiato.”
(Carlos Castaneda)

Tutte le strade portano da qualche parte (o da nessuna parte), ma una strada con un cuore, spiega Don Juan a Carlos, porta un viaggio lieto, e finché la segui sei una sola cosa con essa. Una strada con un cuore ti rende forte, le altre ti indeboliscono. Una ti fa splendere, le altre estinguere.
Ogni anima ha un sogno, un progetto, a noi il compito di divenire canale e l’attenzione di bruciare per splendere, la lucidità e chiarezza mentale di non esaurirsi in emozioni altalenanti. Perché tra sentimenti ed emozioni c’è una grande differenza, e di questo magari mi piacerà scrivere un’altra volta.

              La mia strada è nella penna, 
              la mia anima nella parola 
              e il mio segno nel sogno.

Vanna Ivone


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